Mi sono a volte chiesto perché certi generi alimentari – ad esempio ortaggi, frutta e verdura – sono in vendita ad un prezzo così basso.
Il prezzo è diventato una nuova filosofia di vita per i consumatori ed una nuova politica di vendita per i produttori ed i distributori.
I nostri piatti diventano giorno dopo giorno sempre più globalizzati dal punto di vista della provenienza: dai pomodori di Foggia, alle belle banane del Camerun, dall’avocado del Venezuela al mango saporito del Senegal. Dal pesce della Guinea al cacao della Costa d’Avorio e così via.
Ma cosa avviene a monte, prima che questi prodotti arrivino sugli scaffali di un fornitissimo supermercato europeo? In che condizioni lavora chi deve produrre per il mondo occidentale?
La “raccolta della vergogna” è un’espressione utilizzata per definire e caratterizzare un processo di sfruttamento anomalo di ambienti territoriali e di persone vulnerabili.
Ovviamente si tratta di una pratica poco ortodossa, anzi in alcuni casi addirittura illegale e assolutamente poco produttiva dal punto di vista etico, spesso dovuta al fatto che molte aziende operanti su scala mondiale si approvvigionano in quei mercati nei quali non si rispettano regole, pratiche e tutele relative al lavoro.
Ci siamo limitati a due casi illustrando a titolo d’esempio il comportamento e l’atteggiamento di un’azienda agricola Francese in Camerun ed il sistema del caporalato nel Sud d’Italia, secondo quanto riportato nel documentario del programma televisivo Cash Investigation, in onda recentemente sul canale France 2.
LE BANANE DEL CAMERUN
La Compagnie Fruitière è una multinazionale Francese presente in Camerun con la controllata Société des Plantations du Haut Penja (PHP).
Nel 1991 ha iniziato il suo insediamento nel Paese africano e al giorno d’oggi possiede 4.500 ettari di terreni sui quali coltiva banane conosciute con il brand SCB premium, altrimenti chiamate Bouba (dal nome di un operaio della stessa azienda).
Le banane Bouba si distinguono per il colore giallo-arancione ed il sapore intenso e sono un prodotto molto pregiato e richiesto nei mercati Europei.
La Compagnie Frutière detiene il 10% di quota di mercato in Francia, proponendo prezzi imbattibili.
In base a cosa?
Il programma Cash Investigation ne ha analizzato l’atteggiamento nel territorio Camerunese, per cercare di dare una risposta a questa domanda.
Secondo l’ONG Fadenah (Front Africain pour la Défense de la Nature et de l’Homme – Fronte Africano per la Difesa della Natura e dell’Uomo), l’azienda Francese utilizzerebbe ancora prodotti fitosanitari il cui uso è stato revocato in Europa da parecchi anni.
Nel rapporto rilasciato da Fadenah nel 2010 venivano individuate le conseguenze ambientali e sanitarie relative all’utilizzo dei pesticidi sulle popolazioni locali, evidenziando un legame di causalità tra le malattie della popolazione e l’utilizzo di alcuni prodotti fitosanitari.
A titolo d’esempio: il Chlornil 720 SC, revocato dal mercato europeo dal 2010 in quanto cancerogeno, il Dithane M-45, irritante le vie respiratorie e messo al bando nel 2007, il Manzate 75 DF, anch’esso tolto dal mercato nel 2007 in quanto fonte di irritazione delle vie respiratorie e di inquinamento delle acque, il Siganex, i cui effetti tossici non sono ancora ben evidenziati, ma che non è più venduto dal 2000.
Questi prodotti sono ancora utilizzati in Camerun e l’azienda multinazionale li utilizzerebbe nelle sue piantagioni per produrre le banane vendute a basso prezzo in Europa.
“Il governo ci impedisce di esprimerci” afferma Franck Bialeu, il realizzatore di un documentario intitolato “La Banana” che parla dello sfruttamento in Camerun in nome del business legato a questo frutto.
Le persone che rifiutano di cedere i loro terreni sono incarcerate. Lo stipendio medio degli operai è di 23.000 Franchi CFA (23 euro) mensili, al di sotto del minimo previsto dalla legge (43 euro). Alcuni operai lavorano fino a 14 ore al giorno.
È facile fare business e tenere prezzi bassi, grazie a questi parametri.
Però prima ancora di essere etiche, queste condizioni non sono nemmeno umane.
I BROCCOLI E I POMODORI DELLA PUGLIA
Lo stesso documentario di France 2 permette di avere ulteriori chiarimenti al riguardo della schiavitù moderna organizzata nella filiera della produzione dei broccoli e del pomodoro nel sud d’Italia, principalmente nella zona di Foggia.
Il mercato della GDO in Francia – principalmente Auchan e Carrefour – si approvvigiona da fornitori Italiani per le forniture di ortaggi, verdure, pomodoro e conserve di pomodoro.
I prezzi imbattibili praticati alla clientela dei supermercati da cosa dipendono?
Da sfruttamento e mancato rispetto del codice etico da parte di alcuni fornitori Italiani.
Un esempio? Operai stranieri specializzati nella lavorazione dei broccoli e pagati 4€ all’ora per nove ore di lavoro, sette giorni su sette.
E se gli Italiani percepiscono 25€ al giorno per raccogliere i broccoli nei campi, un extracomunitario ne guadagna appena 12,70.
In Puglia gli immigrati – per la maggior parte Africani e braccianti provenienti dei Paesi dell’Est Europa – sono sottomessi alle “regole” del lavoro in nero per pochi spiccioli al giorno.
I lavoratori sono a volte sequestrati, i loro passaporti ritirati, costretti a vivere in baracche e a lavorare in condizioni particolarmente difficili.
Questi schiavi dei tempi moderni vivono ammucchiati in veri e propri ghetti, senza servizi minimi d’igiene.
Le dichiarazioni da loro rilasciate durante il reportage lasciano capire come siano vittime di uno sfruttamento ben strutturato, motivato dal tristemente famoso sistema del caporalato.
Ogni squadra di “schiavi” viene gestita da un caporale.
Il caporale non è un datore di lavoro, ma controlla tutti e tutto. È un intermediario che paga gli stipendi, organizza il lavoro, comanda e manovra a volontà i membri della squadra.
Il sistema del caporalato è basato sull’assunzione di persone vulnerabili e spesso indifese, per la maggior parte derivanti dall’immigrazione clandestina.
Si tratta di un ambiente socio-lavorativo nel quale i beneficiari – gli sfruttatori – non hanno nessun interesse che si fermino i flussi immigratori. I migranti in cerca di una vita migliore si trovano a volte nelle mani di persone senza scrupolo che li fanno lavorare per tante ore sotto la neve, il sole, la pioggia.
E guadagnano 4€ all’ora per riempire casse da 300 chili di pomodori.
Ecco come si possono praticare prezzi bassi a favore dei consumatori finali, ma a discapito degli esseri umani usati nella filiera produttiva.
Mi torna in mente una frase di Jean-Jacques Rousseau: “L’uomo è nato libero, ma dovunque è in catene”.
Da domani poniamoci questa domanda quando siamo al supermercato: a partire da quale prezzo scontato comincia lo sfruttamento?
(Eric Lambert Noumbo)
https://www.youtube.com/watch?v=Y5ZnxX4tL9g