Ti ricordi quella pubblicità di qualche anno fa?
“Turista fai da te? Ahi, ahi, ahi, ahi, ahi…”.
Potrei utilizzarla per tutti quegli imprenditori che pensano che internazionalizzarsi sia un gioco da ragazzi. Perché se è vero che l’export viene visto come una possibile soluzione alla crisi del mercato domestico, è altrettanto vero che fare attività internazionale richiede una preparazione specifica.
Sempre più spesso si dice che le imprese italiane devono trovare sbocchi distributivi in paesi stranieri, ma non è che basti prendere un aereo, i cataloghi – il passaporto… – partecipare a qualche fiera et voilà, hai trovato nuovi clienti, magari proprio quelli che stai cercando da una vita: “Alessandro, a me non interessa trovare dieci clienti. Me ne basta uno, però fatto come dico io!”.
Riuscire a internazionalizzare un’impresa, magari proprio la tua impresa, non è impossibile.
È inverosimile farlo senza preparazione adeguata, altrimenti sono dolori, psicologici – frustrazione per l’insuccesso, senso di inadeguatezza, svilimento delle proprie capacità – e materiali – risorse spese, distrazione da altre e più remunerative opportunità.
Vuoi davvero partire per internazionalizzarti?
Sei davvero attratto da questo miraggio, come se fosse un’oasi nel deserto?
Allora seguimi… e cerchiamo di non fare troppi danni.
Per prima cosa devi renderti conto che ti serve:
- Qualcuno che parli le lingue straniere. Almeno l’inglese, perché l’italiano all’estero non è molto diffuso. Questo vuol dire che non basta avere un parente che ti “può dare una mano quando serve”. Se vuoi dialogare con l’estero devi avere almeno una persona impegnata in pianta stabile in azienda e non solamente utilizzabile all’occorrenza.
- Il materiale per comunicare le tue offerte – catalogo, listino, company profile, sito internet, eventuali schede tecniche dei prodotti – tradotto almeno in inglese. Poi se tua cognata conosce qualche altra lingua puoi integrare con spagnolo, francese, finlandese, russo e così via. Ma ricordati che la lingua del commercio internazionale è l’inglese.
- Fare inoltre attenzione ad alcuni aspetti importanti, per esempio nel caso tu voglia vendere in paesi anglosassoni: lì non conoscono né capiscono le misure e i pesi espressi secondo il sistema metrico decimale. Non puoi quindi parlare di centimetri, litri o chili, ma devi parlare di piedi, galloni e once. Il commesso di un negozio non si metterà mai a fare le conversioni, quindi se vuoi evitare che butti via il tuo listino, falle tu e fagliele trovare già pronte.
- Le risorse economiche necessarie per fare viaggi, fiere, incontri secondo un piano studiato a tavolino e non “dove capita, basta che trovo qualcuno che acquisti”.
Se questi primi requisiti sono nelle tue disponibilità, andiamo avanti. Altrimenti metti a posto ciò che non funziona.
A questo punto ti devo fare una serie di domande:
- Hai conoscenze in materia di pagamenti internazionali? Se un imprenditore di Tonga ti volesse pagare in contanti con delle bellissime conchiglie, ti andrebbe bene o sarebbe meglio una lettera di credito in dollari?
- Hai mai gestito una spedizione all’estero, tenendo conto delle distanze che ci possono essere all’interno di un Paese? Io una volta ho confuso lo Stato di Washington con Washington D.C. negli Stati Uniti (se non sai dove si trovano, prova a guardare sulla cartina…).
- Sai che gli Incoterms non sono una malattia contagiosa, ma piuttosto i termini che regolano responsabilità e costi del trasporto internazionale in capo a venditore e compratore?
- Sei a conoscenza di eventuali normative che regolano le importazioni in un paese straniero? Se vuoi farti venire i capelli bianchi, prova ad esportare prodotti agroalimentari negli Stati Uniti.
- Hai esperienza di contratti internazionali di distribuzione, di agenzia, di fornitura? Non mi dire che non li conosci, ma “che problema c’è? Tanto li trovo su internet”.
- Sei consapevole che potresti essere costretto a modificare il prodotto, adeguare l’imballaggio, ridisegnare il packaging, riscrivere etichette e istruzioni? Non prendere esempio da quel tuo collega che ha scritto in inglese, sul pannello di controllo di un macchinario, “non accendere se la corrente elettrica non è attaccata”. Sì, hai letto bene: un errore di traduzione che avrebbe potuto fare danni molto seri!
- Hai mai pensato che un potenziale cliente potrebbe ordinarti della merce che non ritirerà mai? O che ritirerà, ma non pagherà? Oppure sbaglierà ad ordinare, ma ti contesterà il fatto che ne avete parlato al telefono e tu non hai capito? E se ti volesse pagare nella sua valuta, piuttosto che in Euro? Accetteresti dei Sum uzbeki?
Non sto qui a farti terrorismo psicologico, ma il commercio internazionale presenta dei rischi che è bene non sottovalutare per evitare di dover gridare “ahi, ahi, ahi, ahi, ahi”!
È possibile che tu intraprenda un percorso di internazionalizzazione, però devi essere consapevole che anche quest’attività deve essere pianificata e preparata come tutte le altre e non può essere improvvisata.
Tieni inoltre presente che gli esempi che ti ho fatto si riferiscono ad alcuni aspetti di base. Ho volutamente tralasciato – per non incasinarti la vita – tematiche come la scelta del paese nel quale andare a fare business, le strategie di ingresso, la gestione dei canali distributivi e così via.
Esistono una quantità di libri di marketing internazionale ai quali puoi tranquillamente attingere, se non ti ho spaventato troppo e vuoi approfondire l’argomento.
Inoltre ricorda che puoi chiedere una consulenza a studi specializzati in processi di internazionalizzazione, legislazione, regole contrattuali e altri codici di comportamento in affari dei vari paesi del mondo.
Se sei pronto ad intraprendere questo bellissimo percorso per internazionalizzare la tua azienda ti auguro che sia un viaggio proficuo e con poche brutte sorprese.
A proposito, non fare come quel tuo collega che dovevo accompagnare all’estero e che pensava bastasse, per partire, la carta d’identità.
Se n’è accorto al check in all’aeroporto.
E abbiamo dovuto prendere il volo del giorno dopo.