Ornamento superfluo, capriccio della fantasia, nota di colore, richiamo sessuale, status symbol, segno e comunicazione, test di personalità… ma anche nodo scorsoio, capestro velleitario, cappio imbelle e strangolicchio pericoloso…

Tutto questo e molto più ancora è quella piccola striscia di stoffa che la mattina ci annodiamo al collo per completare il nostro abbigliamento o che ci mettiamo solo quando decidiamo che “sì, la cravatta oggi ci vuole” (e in quel momento le attribuiamo ancora più importanza, riconoscendole implicitamente un ruolo ideologico, una funzione precisa).

Esiste una scienza della cravatta? Gli esperti lo affermano e subito dopo lo negano, ma certo la cravatta interessa da vicino psicologi, sociologi e semiologi, e può essere usata con profitto negli uffici di selezione del personale.

Esiste comunque una storia di questo frivolo accessorio: è ricca, avventurosa, e la dice lunga sul nostro passato perché c’è di mezzo la guerra (da cui è nata) e l’amore, la vanità e la gloria, i dandies e i rivoluzionari, i gagà sfaccendati e gli architetti razionalisti, Louise de La Vallière e Brummell, il duca di Windsor e Filippo Turati.

Esiste una letteratura cravattiana, e annovera trattati filosofici ottocenteschi, libelli, satire, prontuari, versi….

E certo esiste anche una attualità della cravatta: un ritorno all’ordine e al classico, il gusto del particolare elegante.

Ancor di più esiste chi le cravatte le realizza rigorosamente a mano, oggi come nel 1926.

Cravatte Coppola, la scelta di un vero gentiluomo.

 

www.coppolacravatte.com